Fango, desolazione... e silenzio. Un silenzio grigio dopo 5 giorni di feroce distruzione. Silenzio nel vuoto lasciato da intere famiglie, un lutto senza parole, devastante, che seguì l'uragano più mortale nella storia dell'Atlantico. Era il 1998, e con ottobre cambiava per sempre la storia dell’America Centrale. Un colpo profondo alla vulnerabilità. E piovve... piovve come se il cielo si fosse spezzato in mille pezzi.
Per molti, nomi come Katrina o Milton evocano distruzione immediata. Katrina, che colpì New Orleans nel 2005 e causò oltre 160 miliardi di dollari di perdite, diventando l’uragano più costoso dell’Atlantico. Milton, nel 2023, che infranse record con venti sostenuti di 295 km/h, diventando il ciclone più intenso mai osservato in questo oceano.
Ma nessuno fu tanto letale quanto Mitch nel 1998. Con oltre 11.000 vittime confermate —e cifre che salgono a 19.000 includendo i dispersi— Mitch è, ancora oggi, l’uragano più mortale dell’Atlantico in epoca moderna. Provocò anche massicci spostamenti di popolazione, epidemie, distruzione dei raccolti e perdite di infrastrutture critiche.
Non fu il più mediatico, ma lasciò cicatrici che fanno ancora male. I suoi danni furono umani, ambientali e strutturali. E ci lascia una lezione devastante: i maggiori impatti non derivano sempre dai venti più forti —né dagli uragani più “intensi”.
Mitch si formò alla fine di ottobre 1998, nel Mar dei Caraibi occidentale. Iniziò come un’onda tropicale proveniente dall’Africa e raggiunse brevemente la categoria 5 nella scala Saffir-Simpson. Ma... il suo vero pericolo non furono i venti forti, bensì il movimento estremamente lento. Per giorni, l’uragano restò quasi fermo davanti alle coste dell’Honduras, scaricando piogge torrenziali.
In alcune zone dell’Honduras, gli accumuli di pioggia superarono i 1800 l/m², equivalenti a quanto molte regioni ricevono in un intero anno.
Le piogge persistenti portarono con sé fiumi esondati, frane massive e intere comunità sepolte dal fango. Mitch causò oltre 11.000 morti e perdite economiche superiori a 6 miliardi di dollari. A Posoltega, in Nicaragua, una valanga di fango spazzò via interi villaggi. In Honduras, il 70% delle infrastrutture agricole venne distrutto.
A differenza degli uragani la cui distruzione è legata a raffiche intense o mareggiate, Mitch mostrò come la minaccia possa anche venire dall’accumulo lento dell’acqua. La pioggia persistente diventa letale quando cade su terreni vulnerabili, in comunità prive di adeguato drenaggio, senza sistemi di allerta né protocolli di evacuazione.
Da Mitch in poi, sia la scienza che i sistemi di protezione civile sono evoluti. Abbiamo oggi un miglior monitoraggio satellitare, previsioni numeriche ad alta risoluzione e sistemi di allerta precoce più strutturati. E questi strumenti hanno salvato migliaia di vite. Ne è prova il fatto che eventi uguali o più intensi negli ultimi anni hanno causato un numero di vittime inferiore.
Ma è anche vero che le disuguaglianze continuano a definire i rischi. Non basta avere modelli precisi o previsioni corrette, se non c’è modo di far arrivare quell’informazione a chi ne ha più bisogno. Alla fine, è la combinazione tra elevata vulnerabilità e minacce naturali che genera i disastri.
Mitch, come Harvey (2017) o Eta (2020), mostra che gli uragani più distruttivi non lo sono sempre a causa dei venti forti, ma per le piogge persistenti e il loro lento spostamento. Bisogna fare molta attenzione a come si comunica il rischio. Un ciclone “debole” può essere più letale di uno “forte”, se le condizioni lo permettono.
Oggi, quando i cicloni sono più frequenti e intensi a causa del cambiamento climatico, le lezioni di Mitch restano attuali. Non sottovalutiamo la pioggia. Non affidiamoci solo a un numero o una categoria. Restiamo preparati e vigili, e che il più grande successo sia sempre quello di salvare vite umane.